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da "Percorsi Solidali", n. 5 anno 2015, edito da Grafikamente srl, Forlì

ILBSaduranoMaggio1983

Don Dario Ciani, un innovatore sociale

di Gigi Mattarelli

Nel corso dell’estate è accaduto un fatto che ci ha resi, tutti, un po’ più poveri dentro: con la scomparsa di don Dario Ciani, infatti, la comunità forlivese non ha perso solo un prete ispirato, ma un innovatore spesso scomodo, forse spigoloso, ma con la capacità di scuotere gli animi delle persone al fine di comunicare con passione che su valori come giustizia e solidarietà non è possibile fare sconti. O si vivono con tutto se stessi o è meglio lasciar perdere.
Don Dario, ordinato prete nel 1969, fondatore della Comunità di Bussecchio prima e di Sadurano poi e, per oltre vent’anni cappellano delle carceri di Forlì, ha vissuto la missione sacerdotale con un chiodo fisso: la ricerca costante di aprire nuove strade per promuovere una società più giusta, dove chi sta ai margini potesse avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di tutti gli altri.
Conoscere i pensieri di chi ha condiviso pezzi di strada con lui è certamente utile per comprendere quanto sia preziosa la sua eredità.

“Quando sono arrivato a Forlì - afferma mons. Lino Pizzi, vescovo di Forlì-Bertinoro - don Dario era già impegnato da tempo in attività sociali: ha speso la sua vita con generosità per aiutare persone povere, con disagio, senza lavoro, carcerate. E’ stato certamente un ottimo prete, che ha risposto con forza a quanto ci chiede il Signore e portato avanti i suoi progetti con determinazione. Ha avuto il coraggio di esporsi, in tante circostanze, in prima persona: a volte non è stato compreso e forse anche osteggiato, ma ha dimostrato una generosità unica, nel mettersi a fianco delle persone ai margini della società”.

“Lo conosco fin da quanto eravamo ragazzi - racconta Maurizio Balestra, amico di don Dario e suo compagno di viaggio ai tempi di Bussecchio - francamente mi ha cambiato la vita. A metà degli anni ‘70, insieme a lui, a Franco Marzocchi e ad altri, facemmo partire una delle prime cooperative sociali, la CCB (Cooperativa Comunità Bussecchio) con un centro stampa ed un’officina meccanica, dove c’era posto anche per lavoratori disabili. Fu lui che, sempre in quegli anni, fece inserire all’Asilo della Parrocchia un bimbo con handicap, suscitando polemiche a non finire: insomma credo siano sufficienti questi due fatti per comprendere il suo ruolo di anticipatore dei tempi e di catalizzatore per i giovani, che sapeva contagiare con le sue idee entusiastiche”.

“Ho conosciuto don Dario nel 1983, - ricorda Daniele Mambelli - in Confcooperative a Forlì: l’anno precedente aveva costituito la coop. agricola San Giuseppe, un’esperienza semplice, ma, per il periodo, sconvolgente. Erano gli anni in cui l’agricoltura era spinta alla produzione intensiva: don Dario promosse, al contrario, concetti innovativi, facendo sì che terreni agricoli abbandonati rappresentassero nuove opportunità, con coltivazioni biologiche e soprattutto con l’accoglienza di persone con problematiche differenti, accompagnate, tramite il lavoro, in un percorso formativo e riabilitativo. In quegli anni è iniziata la mia storia con don Dario (per lui non era un incontro, ma «l’inizio di una storia»): nel 1990 celebrò le mie nozze con Alessandra a Sadurano, una cerimonia, ricordo, molto intensa. La nostra storia ha avuto altre tappe importanti, fra cui la costituzione dell’associazione Amici di Sadurano, che promossi con alcuni amici, tramite la quale abbiamo dato seguito a varie iniziative, quali Sadurano Serenade, Arte sul Colle, Lotteria di Sadurano, che proprio grazie a don Dario, riuscì a coinvolgere tutte le organizzazioni non profit del territorio”.

“Di lui mi ha sempre colpito - sono parole di Stefano Uguzzoni, collaboratore da una vita di don Dario - la dedizione ai bisogni degli altri, in merito ai quali non si dava pace fino a che non riusciva a offrire risposte efficaci. Con lui ho trascorso quasi 30 anni della mia esistenza: l’ho conosciuto nel 1983 e dal 1985, dopo che mi sono sposato con Barbara, ho vissuto a Sadurano. Ho condiviso con lui lo sviluppo della cooperativa e delle attività agricole che abbiamo avviato insieme. Mi ha insegnato ad essere vicino alle persone meno fortunate, a fare squadra con loro, nel lavoro come nella vita, perchè - mi diceva sempre - da soli non si fa nulla”.

“Pensando a don Dario - afferma Alberto Bravi, presidente dell’associazione Amici di Sadurano - dico che lui non si è mai posto come un maestro, ma come un compagno di viaggio, un amico da cui imparavi tanto, che, di fatto, diventava maestro di vita senza porsi come tale. Era, poi, un precursore dei tempi che ha aperto la strada ad altri, senza raccogliere i benefici del suo lavoro. A lui si deve lo sviluppo di un modello integrato fra solidarietà, agricoltura e salute che non aveva pari in Italia: questo modello, Sadurano, però, aveva bisogno di un sostegno, non poteva essere lasciato sul libero mercato, visto l’alto valore etico che rappresentava. La recente legge, approvata in Senato, relativa all’agricoltura sociale, avvenuta qulche giorno dopo la scomparsa di don Dario, è la conferma che, ancora una volta, esperienze come quella di Sadurano hanno aperto nuove strade e nuove speranze per il futuro”.

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